Il bisogno di pensare

  • … ho preparato il mio caffè preferito, bollente e profumato, e poi ho iniziato a versarlo nel vasetto dello zucchero…

    Uno studio serissimo circa l’errore umano classifica rigorosamente gli errori in tre tipi: slip, laps, mistake [1], e con dovizia di particolari presenta esempi, modelli di intervento e osservazioni interessanti.

    Come quasi tutti gli studi sul comportamento umano, anche questo descrive con cura i comportamenti (in questo caso gli errori umani), quando è più o meno probabile che si producano, ma non ne fornisce una spiegazione, non indica una sorgente, una fonte possibile: con la conseguenza ovvia di rendere dubitabili le soluzioni ed i rimedi.

    Anche se non ci proponiamo certo di colmare lacune di questa portata, tuttavia siamo in grado aprire almeno uno spiraglio di comprensione non solo del caffè versato nel vasetto dello zucchero, ma di una miriade di altri umani eventi, altrimenti misteriosi ed inspiegabili, aiutando il nostro Narratore ad orientarsi e riconoscere i bisogni di chi lo ascolta, per poter generare una narrazione efficace.

    Ora sappiamo che i nostri sistemi sono costantemente al lavoro, e sappiamo di vivere, in un certo senso, una doppia vita, in parallelo nell’ambiente reale e nell’ambiente virtuale; abbiamo accolto che il buon funzionamento dei nostri sistemi sia ovvia condizione di successo per la nostra sopravvivenza, e che i nostri sistemi trovano conferma del proprio buon funzionamento principalmente “funzionando”, con questo generando le prove indispensabili del proprio buon funzionamento.

    Anche nella semplice operazione del prepararsi il caffè tutti i nostri sistemi sono al lavoro, mentre ci prepariamo il caffè nell’ambiente reale viviamo la nostra vita parallela nell’ambiente virtuale… e nulla garantisce che ciò con cui abbiamo a che fare nell’ambiente virtuale necessariamente ed esattamente coincida con ciò con cui abbiamo a che fare nell’ambiente reale.

    Possiamo addirittura affermare che probabilmente è impossibile che ciò che viviamo nell’ambiente reale coincida esattamente con ciò che accade nell’ambiente virtuale: per poter governare l’azione fisica nell’ambiente reale sembra necessario che, sia pure di poco, i nostri sistemi lavorino in un ambiente virtuale che presenta uno scarto di tempo, in cui anticipiamo il futuro per guidare il presente.

    Anche se si trattasse di uno scarto di solo qualche centesimo, decimo di secondo, per l’esecuzione dei compiti più semplici di cui siamo particolarmente esperti, tuttavia questo scarto di tempo “tecnico” è sufficiente a denotare una sia pur piccola differenza tra le nostre due vite.

    Differenza che ciascuno di noi sa, per diretta e riferibile esperienza, che può essere molto, molto più grande: mentre camminiamo pensiamo ai fatti nostri, mentre guidiamo l’auto (attività relativamente complessa), conversiamo con il compagno di viaggio, mentre riordiniamo il tavolo di lavoro ricostruiamo un pezzo della conversazione avuta con il collega… vite moltiplicate.

    E dunque l’errore? Da un lato possiamo vederlo come prova di “malfunzionamento” di uno o più dei nostri sistemi, o meglio, di una temporanea falla nella integrazione del funzionamento di alcuni nostri sistemi: le operazioni che stavamo eseguendo nel nostro ambiente virtuale, parallele e diverse dalla guida della esecuzione delle azioni necessarie e sufficienti a prepararci un buon caffè, hanno interferito negativamente sulla precisione di esecuzione delle operazioni nell’ambiente reale.

    Il risultato è un prodotto difettoso rispetto alle attese: il caffè non è stato adeguatamente predisposto per essere “normalmente” degustato.

    Le virgolette al “normalmente” anticipano un’altra possibile comprensione dell’errore, diametralmente opposta: non abbiamo a che fare con un malfunzionamento, una falla di integrazione sistemica, ma con il frutto di una composizione sistemica che ha privilegiato il decorso di una azione del tutto in sintonia con la ricerca di soddisfazione di un desiderio.

    Questa prospettiva è stata coltivata principalmente da Sigmund Freud, ancora oggi può risultare piacevole la lettura di Psicopatologia della vita quotidiana, pubblicato nel 1916, raccolta di descrizioni e interpretazioni di slip e laps, interpretazioni molto diverse da quelle proposte da James Reason.

    Il presidente apre i lavori dell’assemblea dicendo: “Dichiariamo conclusi i lavori dell’assemblea”, rendendosi conto dell’errore solo dopo aver pronunciato la frase… egli stesso riconoscendo in seguito che egli era del tutto contrario alla indizione dell’assemblea stessa ed ai lavori che avrebbero dovuto essere svolti.

    Il lapsus linguae (laps, per James Reason) se anche non ottiene il risultato di impedire che avvenga qualcosa di spiacevole, tuttavia soddisfa, ad esempio, il desiderio di protestare e di opporsi (elementi del Sistema Egoico); versare il caffè nello zucchero potrebbe soddisfare il desiderio di sentire sapori dolci, magari per controbilanciare, proverbialmente, alcune recenti amarezze… amare le donne, dolce il caffè.

    Quale delle due prospettive è meglio adottare? Il nostro Narratore efficace è costretto, per essere efficace, ad adottare la seconda, ad interrogarsi sulla possibile radice che rende sensato ciò che sembra un semplice errore… e poi vedere come averci a che fare, come aiutare l’interlocutore a comporre bisogni, desideri e azioni.

    I nostri sistemi di pensiero, operazionale e simbolico, come tutti i sistemi di cui siamo costituiti, non possono smettere di lavorare, nemmeno quando dormiamo, anche se ci sono sufficienti evidenze di un cambiamento delle modalità di funzionamento di cui ci possiamo rendere conto: le pur copiose indagini in ambito neuroscientifico non forniscono ancora risposte complete e convincenti, occorrerà tempo e considerevoli miglioramenti degli strumenti di indagine.

    Ma anche con quello che abbiamo, per quanto poco, possiamo accogliere i frammenti di sogno che riusciamo a ricordare come indizio sufficiente a provare la inarrestabilità del lavoro dei nostri sistemi: da qui a riuscire a dire, a “trattare” e utilizzare il racconto dei sogni (ovviamente si tratta di una narrazione, che altro?) ce ne corre, con buona pace delle interessanti e apprezzabili indicazioni della celebre Traumdeutung freudiana.

    Possiamo accogliere che tra i bisogni da soddisfare vi sia quello di occuparsi di qualcosa, tenendo in buone condizioni di esercizio il Sistema Pensiero Operazionale ed il Sistema Pensiero Simbolico, pronti a riconoscere tensioni e difficoltà correlate al sotto-utilizzo o sovra-utilizzo dei nostri sistemi: se l’ozio non è necessariamente il padre dei vizi, occorre tuttavia alimentare adeguatamente la nostra macchina sistemica.

    ***

    Concludiamo per ora questa prima parte di lavoro di ricostruzione di sostanza e senso della narrazione, ciò che abbiamo visto sin qui intreccia qualunque esperienza di racconto, in qualunque ambito della nostra vita: siamo partiti alla ricerca di qualcosa che potesse migliorare la nostra vita professionale e della vita quotidiana, ed è tempo di affrontare più in dettaglio alcuni aspetti specifici.

La gestione dello stress sembra essere promettente, ma non ci precludiamo alcun ambito di prova.

[1] Human Error,  James Reason, trad.it L'Errore Umano, EPC editore, Roma 2014


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