Come, secondo te…

Individuare e condividere una buona ragione, blindata, la migliore prova che riusciamo a trovare del nostro autentico intento di proteggere il nostro interlocutore da minacce alla sua sopravvivenza, alla sua riuscita: questo è il cuore della tecnica, e notoriamente senza cuore non si può fare.

E se non la troviamo, o se non è condivisa? Allora abbiamo un altro problema, decisamente più grave e urgente del dare un feedback negativo: ci troviamo sul limite della nostra possibilità di gestire, al limite della risoluzione del rapporto di lavoro.

Il collaboratore potrà forse continuare a fare la sua parte, più o meno, non seguendo la nostra guida, ma per i fatti suoi, magari sotto la pressione di altro, del temporaneo timore di restare senza stipendio: resta centrale il riscontro della mancata condivisione dei fondamentali. Già, i fondamentali su cui si regge il lavoro insieme.

Lo step relativo alla individuazione e condivisione della buona ragione, blindata, che rende inaccettabile quel risultato che noi abbiamo dichiarato inaccettabile, è immediatamente una sorta di review dei fondamentali, una verifica cruciale della condivisione di almeno uno dei fondamentali su cui, sin qui, si è basato il lavoro insieme.

E se vediamo che la verifica ha esito negativo, allora molto meglio occuparsene, e subito: forse qualcosa è recentemente cambiato nel quadro del collaboratore, e noi non lo sappiamo ancora, meglio aggiornarsi, rimettersi in fase e vedere che si può fare… se qualcosa si può fare.

Nella mia lunga esperienza, i manager non si occupano dei fondamentali, li danno per scontati, è ovvio che tutti condividiamo i fondamentali del lavoro insieme: lavoriamo insieme, no? questa è una prova concreta, non ne servono altre.

E quando gli si domanda quali sono i fondamentali di ciascun collaboratore, come è fatto il mix delle motivazioni di ciascun collaboratore, che sappiamo essere sicuramente diverso e unico per ciascun collaboratore, distintivo di ciascun collaboratore, nel migliore dei casi, otteniamo la descrizione del mix di motivazioni del manager.

Che il manager dà per scontato essere, ovviamente, l’unico mix valido, e che tutti, ovviamente, condividono, poiché tutti funzionano, o devono funzionare, come il manager: quindi, dove è il problema?

Il problema è che la riduzione ad un unico mix, ad un unico tipo, funziona solo qualche volta, è un fatto statistico, e va in direzione contraria al generare valore attraverso la diversità: la gestione inadeguata della diversità, che per noi è più esattamente la gestione inadeguata della interazione con l’Altro come soggetto unico ed irripetibile, presenta conti e costi proibitivi.

Non che il tema della diversità sia di oggi, c’è sempre stata la questione del come averci a che fare: diversità di genere, di generazione, di etnia sono sempre state presenti, la globalizzazione e l’allungamento della vita umana hanno solamente accentuato e reso più evidente che è necessario porgere risposte migliori del tutti-come-me, pena lo scarso rendimento generale e l’abbandono delle risorse migliori.

Il cuore va bene, ma serve anche la testa, per riuscire: abbiamo individuato e condiviso la buona ragione, blindata, ora che si fa?

Resta il risultato insoddisfacente, e resta la necessità di ottenere risultati soddisfacenti con la migliore continuità possibile: insomma resta il compito di attivare o generare il codice neurale, i neurogrammi che possono guidare quei comportamenti, quelle azioni che ottengono risultati soddisfacenti,

La tecnica indica di formulare la richiesta di proposte, di piani, evitando accuratamente di dare istruzioni e suggerire soluzioni, ed è un’ottima indicazione, sistemicamente fondata e molto valida.

Il nostro compito, come manager, come guide, come leader, è aiutare il collaboratore a generare quei codici che produrranno i risultati attesi, stornando pericoli e minacce, riconoscendolo come soggetto autopoietico, dando prova di stima e di fiducia: l’ultima cosa da fare è dare istruzioni, valida solo quando siamo assolutamente sicuri che il collaboratore non saprà come cavarsela altrimenti, e, soprattutto, quando non c’è il tempo sufficiente ad apprendere.

Il che succede molto raramente, dato che i nostri collaboratori conoscono il loro mestiere e sanno risolvere le questioni che li riguardano, cosa che ogni manager sa perfettamente.  Potremmo chiederci come mai, allora, nel 90% dei casi i manager, come quello del primo caso esaminato, forniscono ordini e istruzioni, sono tutti stupidi?

Naturalmente no, nelle centinaia, migliaia di casi che ho affrontato il primo fattore è la spinta a vedere realizzato quello che hanno in mente nel modo in cui loro lo realizzerebbero, spinta che sostiene il Principio di Similarità, che abbiamo già incontrato, codice arcaico che ha generato ottimi frutti in passato, e che tuttora continua a produrne.

Così, invece di fare il loro mestiere, supervisore, manager, dirigente, finiscono per fare il mestiere del collaboratore; e così, invece di guidare e supportare, nell’ambiente virtuale che stanno condividendo con il collaboratore, condividono (o cercano di condividere) i loro codici, i loro neurogrammi con il collaboratore, poiché per ciascuno di noi il miglior codice è il nostro.

Dunque a fin di bene, nessun dubbio… il punto è se e quanto questo è efficace, e le prove di campo sono incontestabili: non è efficace, e nemmeno efficiente nella stragrande maggioranza dei casi.

Accanto alla pressione orientata a soddisfare il Principio di Similarità, troviamo anche le difficoltà a costituire l’Altro come Soggetto, ad usare con saggezza ed equilibrio le risorse del nostro sistema Egoico.

Che cosa proponi? Quale è il tuo piano? Come secondo te riusciamo a…?

Come dicevo, la tecnica è nota da tempo, molto tempo, e non so, onestamente, chi ne sia il vero autore, io l’ho trovata seguendo un TTT, training the trainers, trent’anni fa, dubito che chi me l’ha presentata ne fosse l’”inventore”, ma era talmente evidente che era la cosa giusta da fare (ben prima che mi occupassi di emozioni e di sistemi) che da allora è diventata un pilastro del mio lavoro.

Ora ne conosciamo abbastanza a fondo le ragioni, e soprattutto gli ostacoli al suo ricco ed efficace impiego: il primo lo abbiamo visto nell’accoglienza positiva, l’attivazione del codice primario amico/nemico, il secondo è il codice primario di protezione sistemica che innesca la spinta a soddisfare il Principio di Similarità, il terzo è il codice primario che interviene nella costituzione dell’Altro come Soggetto.

Tutti codici utilissimi, e che al momento giusto e nel posto giusto continuano a produrre ottimi risultati, ma non più nella evoluta gestione della interazione con i collaboratori che è richiesta oggi, ai supervisori, ai manager, ai dirigenti, ai leader del nostro tempo.

Così, lo step resta: come secondo te…?


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