Ragione, piano, supporto

La tecnica Seven Step può essere considerata un modo per cercare di ottenere dal collaboratore il riconoscimento di Helper: il suo utilizzo tuttavia richiede che chi la usa sia autenticamente interessato e capace di costituire l’altro come soggetto, consapevole della complessa configurazione sistemica di qualunque nostro simile.

Porgere un feedback negativo è aprire una crisi, inutile girarci intorno.

Governare, accompagnare l’attraversamento della crisi è, per il capo, una preziosa opportunità per ottenere ciò che gli serve di più, e cioè il riconoscimento di Helper da parte del collaboratore: ottenere questo riconoscimento è l’obiettivo strategico, di ogni giorno, di ogni azione che coinvolga l’azione o il pensiero del collaboratore. Senza dimenticarci che il capo stesso si trova alle prese con un feedback negativo da risolvere: quale mio codice, evidentemente, non ha funzionato? Come mai il mio collaboratore ha deragliato, nonostante i miei precedenti interventi?

Questo è un punto estremamente difficile, e non a caso normalmente viene semplicemente saltato, ignorato: la mancanza è da parte del collaboratore, è lui, o lei, a doversi correggere, io sono a posto.

Ma le due operazioni sono distinte, vanno tenute distinte: una operazione è il riesame della mia condotta, dei miei codici, e dovrò trovare il modo adeguato per metterla a posto, magari con un coach, perché no, o con un collega esperto, un mentore, un sen-pai.

Altra operazione è avere a che fare con il mio collaboratore in questo frangente, in cui, tecnicamente, è il mio collaboratore ad aver fatto quel che non doveva, ha utilizzato i suoi codici ottenendo un risultato insoddisfacente.

Naturalmente lo sa, e come me anche lui ha a che fare con la necessità di trovare una soluzione adeguata, che spenga l’allarme lanciato dal suo sistema nocicettivo, soluzione che tenga conto non solo della “performance” puntuale (indosso/non indosso i DPI), ma anche dell’andamento della interazione con me, il suo capo, con i colleghi, con i suoi eventuali collaboratori.

Tre sono le “cose” principali da fare, secondo la tecnica Seven Step, ma hanno senso anche per noi sistemici: 1) esplicitare e condividere la buona ragione che rende inaccettabile il risultato ottenuto, 2) ottenere dal collaboratore il piano di azione, la sua proposta di soluzione, 3) aiutare a realizzarla

Quale è una buona ragione, una ragione blindata, che né io né il mio collaboratore possiamo contestare? Meglio che il capo che somministra il feedback negativo la individui prima di entrare in campo, occorre prepararsi adeguatamente… nel caso dei DPI non indossati è fin troppo facile, la ragione blindata è che ne va della salute, della integrità, se non della vita del collaboratore.

Quali proposte potrà mai fare il nostro collaboratore? Non lo sappiamo, potrebbe limitarsi a brontolare, vabbè, da ora in poi lo uso sempre, anche per aiutare gli altri a fare lo stesso… ma potrebbe anche proporre di abbassare la temperatura del luogo di lavoro di due gradi, in modo che il sudore sotto il casco non sia eccessivo, che non coli sugli occhi, annebbiando la vista e facendo correre il rischio di rimetterci una mano. In ogni caso, è cruciale che il collaboratore metta in gioco i suoi codici.

Quale aiuto per la realizzazione? Tutto quello che possiamo fare, accettando la possibilità che la cosa possa rivelarsi estremamente impegnativa, che si incontrino ostacoli difficilmente sormontabili (convincili tu, quelli del budget, a spendere di più per climatizzare meglio il posto di lavoro), battaglia che combatteremo a fianco del collaboratore, pur restando leali servitori della casa.

Ma lì, nel momento dell’attraversamento, l’aiuto è dare supporto all’idea del collaboratore, e fornire feedback positivo sui nuovi codici da usare, non tanto e non solo con le parole, quanto con la nostra contentezza per aver attraversato onorevolmente le difficoltà del “feedback negativo”, e per le buone idee del collaboratore… certo, è il sistema emotivo a dire la sua nel linguaggio e con i codici che gli sono propri, meglio ricordarsi che le emozioni non si possono fingere, i neuroni specchio non sbagliano nel distinguere quale emozione sta provando l’altro.

Abbiamo forse abbandonato il volenteroso manager-coach, il capo del capo? Certamente no. I suoi rilievi sulla tecnica sono accettabili, anche per lui il punto sfuggito riguarda il riconoscimento (autentico) di Helper da parte del coachee: ti dice che la tecnica non funziona con i suoi collaboratori, e cioè che i tuoi codici non funzionano, non gli sono di aiuto, anche se riconosce che con lui hanno funzionato.

Il ripetere, ri-precisare gli step della procedura non è in sé sbagliato, per sviluppare qualunque skill spesso la ripetizione è utile: in questo caso l’evidenza è più dalla parte dell’emergere, da parte del coachee, della preferenza accordata a codici sbrigativi e interventisti, che mettono in scacco gli step della tecnica.

La difesa dei propri codici è fisiologia sistemica, hanno funzionato sin qui, per cambiarli, integrarli o sostituirli con altri ci vogliono buone ragioni e valide alternative, più o meno come per il collaboratore alle prese con i DPI: possiamo usare anche in questo caso la tecnica Seven Step? In parte sì, almeno come check list di controllo, più critico è lavorare sulla difesa dei codici, dato che non abbiamo visibilità sull’analogo della ragione blindata che motiva il coachee a cambiare codici ed il coach ad aiutare a cambiare.

Perché il coachee dovrebbe modificare i suoi codici? E anche quando autenticamente ci prova (in questo caso non pare ci abbia provato molto), se non riesce, che cosa può aiutare la riuscita?

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