Sostanza della narrazione

Molta strada resta da fare, ma ne abbiamo percorso un bel tratto: possiamo iniziare a proporre una prima descrizione alternativa della sostanza della narrazione, alternativa rispetto a quelle comunemente circolanti.

Come dicevamo all’inizio, la narrazione è una azione, e, sulla base delle nostre premesse, qualunque narrazione è dunque utile e ha per suo fine fornire supporto alla nostra sopravvivenza: si tratta tuttavia di una azione molto speciale, di cui è probabilmente utile comprendere, meglio che si può, di che cosa è fatta e come funziona.

Cominciamo dalla “sostanza” base, che possiamo accogliere come radice comune di qualunque forma di narrazione, e che abbiamo iniziato a identificare: abbiamo a che fare con una azione, necessariamente guidata (controllata, governata…) da codici neurali, da plessi-sequenze di specifici neurogrammi, i quali a loro volta sono il frutto del lavoro incessante di quello che abbiamo chiamato Sistema Pensiero Operazionale[1] alle prese con il problema di individuare la migliore azione possibile per noi in relazione alla configurazione di ambiente virtuale con cui ha a che fare.

La narrazione è dunque, in qualunque sua forma sensibile, sonora, visiva, olfattiva, tattile, cinestesica, il miglior frutto di una elaborazione enormemente complessa compiuta dalla nostra macchina sistemica, è la migliore azione che in quel momento possiamo compiere per governare, con esiti salvifici, la nostra interazione con l’ambiente per come si configura in quel momento.

Potremmo fare moltissime altre cose, la nostra macchina sistemica potrebbe produrre o assemblare istruzioni, codici, plessi sequenze di neurogrammi a guida di azioni completamente diverse dalla narrazione, ed invece no, tra tutte le azioni che ci sono possibili, tra tutte le elaborazioni possibili, quella e solo quella prende, per così dire, corpo e vita.

Nel linguaggio comune potremmo dire che la narrazione, narrare, è la risposta migliore che siamo riusciti a trovare rispetto da un lato, a ciò di cui abbiamo bisogno, dall’altro alle condizioni, alla configurazione dell’ambiente in cui ci troviamo.

Se non fosse che il linguaggio comune rischia di infilarsi in un vicolo cieco, che quasi tutti gli studiosi del secolo scorso hanno imboccato, e che noi cerchiamo con ogni cura di evitare: il vicolo cieco si chiama stimolo-risposta, accettare questa connessione tra ambiente e sistema significa cogliere sono in minima parte la ricchezza di ciò che è sotto i nostri occhi.

E soprattutto significa incastrarsi senza speranza di soluzione in paradossi e contraddizioni, dalla separazione tra osservatore e oggetto osservato al fallimento delle predizioni necessariamente basate sul nesso di causa effetto.

Il nostro ambiente reale è frutto di una elaborazione enormemente sofisticata, frutto del processo di evoluzione della vita biologica di miliardi di anni in cui si sono succedute un numero incalcolabile di generazioni, di esperimenti di adattamento della vita biologica alle condizioni dell’ambiente, diverso per ciascuna specie, diverso per ciascun essere vivente: ciò che rischiamo di non vedere più, accettando l’idea di “star rispondendo” ai pressanti bisogni di cui non possiamo liberarci è la meraviglia della danza incessante in cui ci troviamo, del nostro continuo  mutare al mutare dei nostri ambienti, reali e virtuali.

Il problema a cui dobbiamo continuamente dare “risposta” è naturalmente sopravvivere, non ai mutamenti, ma nei mutamenti, incessanti ed  inevitabili… così è per ogni forma di vita biologica.

Dove sopravvivere significa mantenere relativamente stabile la nostra configurazione sistemica, in un certo senso nonostante gli incessanti e inevitabili mutamenti, ciò che abbiamo chiamato autopoiesi; in curiosa opposizione, che sembra tratto distintivo della vita organica, a ciò a cui ogni cosa esistente sembra condannata, visibile e non visibile, e cioè ad un costante aumento di entropia… almeno così dicono i nostri più brillanti studiosi umani.

Per comprendere ciò che ci accade è meglio stare in guardia dal porre connessioni del tipo causa-effetto, stimolo-risposta, sono semplificazioni a volte utili, che si possono usare senza danno significativo; meglio cercare di mantenere una prospettiva in cui tra ciò che accade riusciamo a individuare connessioni più simili al danzare-con, fluire-con, mutare-con, le migliori approssimazioni che ho trovato andando alla ricerca del significato di “correlazione”.

Non che non ci siano ottime ragioni, a monte della comune inclinazione ad adottare il semplice legame causa-effetto, è una lunga storia, appassionante e bellissima, che magari cercherò di narrare, non qui e non ora.

Narrare è il modo migliore, per dirla semplicemente, con cui e attraverso cui, nel momento in cui narriamo, riusciamo e riusciremo a sopravvivere.

La prima importante e favorevole condizione che riusciamo così a raggiungere, segnalata dalla nostra soddisfazione e/o dalla nostra minore preoccupazione, è la maggiore similarità tra ambiente virtuale e ambiente reale, anche quando, soprattutto quando ciò che stiamo narrando si correla a configurazioni dell’ambiente reale che non ci sono favorevoli e che non sono ancora mutate in senso a noi favorevole.

Nell’ambiente reale prende corpo la nostra narrazione, elemento dell’ambiente reale che si accorda al nostro ambiente virtuale, così generando il primo e più importante beneficio e supporto alla nostra esistenza, a cui se ne aggiungono molti altri.

Naturalmente questa speciale azione salvifica incontra ostacoli, e spesso sembra seguita da effetti spiacevoli, dovremo entrare più nel dettaglio in seguito.

A questo punto non possiamo rimandare di molto le questioni che riguardano il soggetto narrante, e con esso quelle che riguardano i soggetti che accolgono la narrazione: dovremo tuttavia pazientare ancora un poco, prima di occuparci del narrante siamo costretti a individuarne le condizioni di esistenza.

[1] In seguito dovremo introdurre un ulteriore sistema, il Sistema Pensiero Simbolico, per questo è utile sin d’ora abituarsi gradualmente a indicare il primo sistema di elaborazione delle possibili opzioni di governo della interazione con il nostro ambiente con un nome sufficientemente preciso: nome che riprende una partizione nota negli studi sul pensiero che risale al secolo scorso, appunto Operazionale e Simbolico, distinzione che adottiamo volentieri dato che ci semplifica un poco il compito espositivo.

Credo sia evidente per tutti la differenza tra pensiero operazionale e Sistema Pensiero Operazionale, come sia del resto ora evidente che gli studiosi del secolo scorso, non disponendo di sufficienti ancoraggi per la concettualizzazione dell’ambiente virtuale e della distinguibilità tra le operazioni che hanno come risultato la costituzione dell’ambiente virtuale e quelle che hanno come risultato la manipolazione degli elementi costituenti l’ambiente virtuale, ancoraggio a noi fornito da quella meraviglia chiamata CPU, hanno dovuto limitarsi a considerare il “prodotto” della nostra straordinaria macchina sistemica.

Lasciando a noi il privilegio di iniziare almeno, se non completare, ricerca, osservazione e studio della macchina sistemica capace di produrre quelle meraviglie.


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