
Iniziamo con una tautologia, coerente con le nostre premesse sistemiche: la narrazione, in qualunque sua forma e manifestazione, è azione, e quindi, necessariamente, utile alla sopravvivenza.
L’affermazione è certamente forte, ma non abbiamo scampo: qualunque narrazione, per definizione, è utile.
Ora il compito non facile che ci aspetta è di riuscire ad accordare questa enunciazione di fatto, qualunque narrazione è utile, con la comune credenza e la comune interpretazione che possano esistere narrazioni utili e che esistano anche narrazioni inutili.
Le evidenze circa l’esistenza di narrazioni inutili, o almeno sin qui valutate come tali, dovrebbero essere a disposizione di ciascuno di noi: ci siamo trovati e penso chiunque di noi continui a trovarsi in situazioni in cui qualcuno ci dice, ci racconta, ci narra qualcosa di totalmente inutile rispetto a qualunque parametro noi possiamo individuare, almeno per quanto riguarda la nostra posizione in quella situazione.
Totalmente inutile per noi: ripete una cosa già detta, esprime un luogo comune, si concentra su un dettaglio per noi irrilevante, salta di palo in frasca, l’elenco, anche se non infinito, è lungo. Il nostro riscontro è certamente veritiero, e tuttavia non necessariamente è prova sufficiente a smentire la verità del nostro enunciato di partenza: qualunque narrazione è utile.
Se da un lato la narrazione può essere inutile, sotto l’aspetto pratico, per noi, questo non esaurisce la questione, e certamente sin qui non mettiamo in gioco alcun elemento nuovo relativo alla materia di cui è costituita la narrazione.
Di nuovo, ancora quasi per definizione, nel momento in cui riconosciamo che la narrazione è azione, dobbiamo anche riconoscere che tale azione viene svolta da un soggetto umano, e che in primo luogo la caratteristica di utilità va ricercata dal punto di vista in cui si trova il soggetto che narra, e non dal punto di osservazione di chi, in un certo senso, subisce l’azione narrante.
Anche in questo caso, penso che a nessuno di noi manchi l’esperienza di narrazioni “subite” di cui, nonostante i migliori e più intensi sforzi, ci è risultato impossibile rintracciare qualsiasi indizio, se non prova, di utilità per il soggetto narrante.
I più saggi tra noi, in questi casi, frequentemente ripiegano sulla parziale imperscrutabilità dell’animo umano, sulla impossibilità fattuale di accedere completamente alla mente di un altro, di sapere che cosa gli gira in testa.
Alcuni sapienti, che delle bizzarrie e della incomprensibilità hanno fatto materia del loro lavoro, per mestiere cercano di inoltrarsi lungo sentieri che sembrano promettere, se non permettere, di trovare il senso di ciò che a tutta prima appare come un non-senso, mantenendo una posizione in cui, pur accettando da un lato il non-senso evidente come non-senso, l’evidente inutilità della narrazione subìta, dall’altro non rinunciano alla possibilità di costruire, con il primo narrante, una narrazione in cui il non-senso iniziale viene trasformato in senso, individuando l’utilità inizialmente non rintracciabile.
A volte riescono, almeno a quanto mi risulta, a volte no: psicoanalisti, psicoterapeuti, psicologi, psichiatri, ma anche antropologi, antroposofi, e filosofanti di varie scuole e orientamenti.
Non che il privilegio sia solo loro, anche a noi è certo capitato di inoltrarci lungo quei sentieri, alla ricerca di senso (e di utilità) di un commento, di una osservazione, di una narrazione che si è presentata come non-senso, a volte scoprendo che un senso (ed una utilità) ce l’aveva, a volte no.
Un passeggero di un autobus ogni 5 secondi pronuncia “diciotto…..diciotto…..diciotto…”, dopo un po’ un altro passeggero, incuriosito gli si avvicina, e gli chiede “come mai continua a ripetere diciotto?”, ottenendo la risposta “un altro che non si fa gli affari suoi, diciannove… diciannove… diciannove”
Ci poniamo come onesti ricercatori, non già come maghi: nemmeno noi potremo superare l’ostacolo che incontriamo più o meno frequentemente, costituito dal non poter sapere con sicurezza che cosa passa per la mente di un altro.
Ma possiamo allargare un poco la comprensione del come e del perché ogni narrazione sia utile, con questo plausibilmente aumentando le nostre possibilità, qualora desiderassimo imboccare quei sentieri, di trasformare non-senso (inutilità) in senso (utilità).
Cerchiamo di dotarci di qualche elemento in più circa la materia di cui è costituita qualunque narrazione, mettendo per il momento in secondo piano la questione dell’utilità: riconosciamo che la narrazione umana presenta numerose e diverse forme e manifestazioni, riusciamo ad individuare una radice comune?
Tentandone una ricostruzione filogenetica penso difficile e improbabile un punto di inizio diverso dalla capacità di produrre rumori, suoni, capacità che i progenitori della nostra specie hanno acquisito nel corso della evoluzione della vita biologica.