Helping Leadership

Tutti sanno che cosa è leadership, troppi: le definizioni, gli aspetti, gli slogan, i moniti, i consigli, le “regole” sono talmente tanti da far girare la testa.

Come si fa a tenere in mente tutta quella roba, come si può riuscire a usarla quando siamo in azione?

Abbiamo bisogno di semplificare, integrando il più possibile tutto quello che, pur giusto e utile, è troppo da portarsi dietro così com’è: questo è lo scopo che vogliamo raggiungere, aprendo il laboratorio Helping Leadership, presso homosystemicus.com

E iniziamo a semplificare, anche se per semplificare occorrerà prima affrontare la questione rendendo meglio conto della complessità con cui abbiamo a che fare.

Leadership è, semplicemente, aiutare.

La sostanza della leadership, in tutte le sue molteplici e variegate forme, appariscenti o sommesse, urlate o silenti, è sempre e solo l’aiutare: accettiamo la “guida”, il consiglio, l’indicazione di qualcuno se e solo se ci è di aiuto per avere a che fare con successo con ciò con cui abbiamo a che fare.

Semplice, no?

No, non lo è: quello che abbiamo appena fatto è stato spostare, focalizzare la complessità di ciò che qualifichiamo come leadership, mettendo sotto luce piena l’aiutare, ciò che aiuta, chi aiuta.

Aiutare è tutt’altro che una cosa semplice, come abbiamo visto occupandoci della narrazione al lavoro (vedi homosystemicus.com): l’aiuto, il consiglio, la guida vengono accettati se e solo se chi li porge è riconosciuto come Helper, essere riconosciuti come Helper richiede che siano soddisfatte condizioni molto specifiche.

A scanso di equivoci, ciò di cui ci occuperemo è la leadership, NON ci occuperemo dei cosiddetti leader, cosa che può sembrare impossibile: come ci si può occupare della leadership senza con questo occuparsi anche dei leader?

Eppure la cosa è relativamente semplice, dato che tutti, ma proprio tutti, abbiamo avuto esperienza diretta di leadership, abbiamo esercitato la nostra leadership: potranno essere più o meno numerose le occasioni in cui lo abbiamo fatto, potrà essere più o meno lungo il periodo di tempo durante il quale lo abbiamo fatto, questo non ha importanza.

Il punto è che lo abbiamo fatto tutti, con maggiore o minor successo.

E non siamo finiti sulle copertine delle riviste, sulle pagine dei giornali, sui monitor, sotto i riflettori di qualche evento di massa: siamo stati leader silenziosi, quieti, per usare una buona definizione di una ventina di anni fa[1].

Ci occuperemo di noi, dunque, lasciando al loro destino, almeno per il momento, quelli che sono finiti in tv o sulle pagine dei giornali, solo una nota: colpisce che per promuovere iniziative di lavoro, studio, divulgazione relativi alla leadership, gli organizzatori chiamino in gioco personaggi di qualche notorietà, se non chiaramente famosi, quasi senza eccezione.

Con questo cercando di migliorare, evidentemente, le possibilità di successo di cassa e di pubblico, facendo leva su uno schema di pensiero che gli umani sono predisposti a prendere per buono[2]: se è famoso allora la sua leadership ha successo, se ha successo allora allora funziona, se funziona allora è un leader, se è un leader allora sa che cosa è la leadership, se sa che cosa è la leadership allora può insegnarmi qualcosa.

La catena dei sillogismi (se-allora) è tra le più invitanti e rischiose forme del pensiero umano, ci semplifica la vita di ogni giorno ma non necessariamente aiuta a raggiungere gli obiettivi: in questo caso, per ogni passo se-allora potremmo facilmente trovare eccezioni ed elementi che falsificano ciascuna conclusione, ci limitiamo a due se-allora, se è un leader allora sa che cosa è la leadership, se sa che cosa è la leadership allora può insegnarmi qualcosa.

Anche ammesso che il soggetto in questione sia un leader, agisca in modo tale da essere riconosciuto da altri come un leader, non necessariamente sa che cosa sia la leadership: tra essere campioni nell’esercizio di qualunque abilità e sapere come e perché si è campioni non c’è una relazione di doppia implicazione, si può essere eccellenti anche senza sapere come e perché.

Anche ammesso che il soggetto in questione sappia come e perché è un campione, abbia piena e consapevole conoscenza degli elementi che concorrono a generare la sua prestazione eccellente, non necessariamente è in grado o capace di trasferire questa conoscenza ad altri.

Ci occuperemo di noi, della leadership, e non dei leader sotto i riflettori: come?

Abbiamo individuato nell’aiutare la sostanza di cui è costituita la leadership, e nella narrazione la forma generale in cui si manifesta, forma che assume di volta in volta configurazioni diverse e variegate, compatibili e coerenti con l’aiutare il leadee: la prova della esistenza ed efficacia della leadership, ovviamente, la fornisce il leadee, colui o colei che viene aiutato ad avere a che fare con successo con ciò con cui ha a che fare.

Per poter mettere a terra le nostre attuali conoscenze abbiamo bisogno di casi, della narrazione di situazioni che si sono prodotte, caratterizzate dal mettere in gioco almeno un leadee ed un leader, senza escludere, naturalmente, il gruppo dei leadee con il relativo leader.

Metto volentieri a disposizione alcuni casi che ho affrontato, e resto aperto alla possibilità di affrontare i casi di chi avrà voglia di presentarne: per prendere contatto helpingleadership[at]ugobonora.net

Il  laboratorio è aperto a tutti, non solo per la libera consultazione, ma anche per la possibilità di proporre casi, quello che ci è successo e ci succede, per poter spremere dalla nostra esperienza quanto ci serve per poter essere migliori Helper e migliori leader

Leader quieti ed efficaci.

[1] Pregevole contributo alla comprensione della leadership, Leading quietly: an unusual guide to doing the right thing, Joseph L. Badaracco Jr., Harvard Business School Press, Boston, 2002

[2] Come e perchè possiamo sostenere che gli “umani sono predisposti  a prendere per buono” meriterebbe probabilmente di essere più pienamente argomentato, rinviamo ad altro luogo e momento, per ragioni di economia narrativa.


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