stress da separazione

E siamo a tre, insomma quasi… stavolta sono maschi, tutti e tre, 42, 55, 61 anni, allievi che rivedo dopo anni, nel giro di poche settimane, ecco, la virata, tra le più dure e difficili che io conosca… per stare leggeri l’ho chiamato stress da separazione, e un racconto che ne ho fatto, qualche tempo fa, la mia Regina Nera( https://humansystemics.net/stress-da-separazione/) , secondo me bellissimo  e terribile, lungo e complesso, diceva quasi tutto quel che c’è da dire.

Ma la storia di ciascuno è unica e straordinaria, irripetibile, sì, che mi frega, tutte si chiamano, per la legge, separazione, ma non ne troverete mai una uguale all’altra: e se vi sembra che sia così, vuol solo dire che vi sono scappate le cose più importanti.

Uno (mio allievo di quando facevo il professore in università, studente intelligente e a  modo suo molto brillante) non ce la fa più, a quindici anni di distanza tutte le premesse sono state spazzate via, due bei maschiotti, lei si è trovata un altro, a un certo punto la cosa salta fuori, e lui, già da anni in seria difficoltà, disprezzato, comandato, messo in un canto, nel giro di poche settimane trova Arianna, e non se la fa scappare… lei è già dall’altra parte, due figli, (ex) marito violento, cacciato energicamente fuori casa, separata da qualche anno, storie brutte, stalking, carabinieri, ospedali, ma porcamiseria….

Anche lui due figli, ragazzina 13, bimbo 9, entrambe le famiglie di origine molto credenti, una zia suora missionaria, da una parte, una suora laica dall’altra, un piccolo paese tra le valli alpine… c’entra? Ehhh, provate voi! la (ex) moglie ha già fatto le valigie e se n’è andata da qualche settimana, insegna, di ruolo, l’amante anche, ma ricco di famiglia, altra città, 90 chilometri di distanza…

L’altro ci ha provato per venti anni, dopo i primi dieci crolla, intanto Joele è arrivato, non ce la fa più, esce di casa, sta fuori qualche mese, poi rientra, e si sposano davanti al prete e al sindaco, e altri dieci anni, a vederla lei tutta affettuosa, gli fa carezze, lo guarda con quegli occhi che uno dice anch’io voglio essere guardato così, anch’io voglio una carezza… ma, lui dice, è lo screensaver di microsoft per quando c’è pubblico, sono un pezzo della casa, a volte utile, il più delle volte no, e io non ce la faccio più… ci mette un po’ a dire che, ah sì, embé, ha conosciuto Maristella, eh sì, dall’altra parte del muro, due figli grandi e indipendenti, separata da un bel pezzo, ma il divorzio mmmhhh, andiamoci piano, l’ex per ora passa regolare l’assegno, la casa costa, tutto costa, lei ha rinunciato al lavoro obbedendo all’ex marito, e ora rimettersi in gioco, a quasi sessant’anni… e così Maverick molla la casa, se ne va, molla la moglie, NON molla Joele, trova un appartamento in un luogo che Joele può raggiungere facilmente, e adesso c’è tutto da mettere a posto… Maristella? Ah, lei meglio non spingere troppo, situazione complicata, meglio non complicarla di più.

Il terzo, dirigente in una notissima griffe di haute couture, è un sognatore, lo sa, lo dichiara, si tiene a bada, l’ho incontrato la prima volta quindici anni fa, aveva mandato affanculo tutti quelli che gli avevano mandato quelli delle risorse umane, ah sì, lui  bravissimo, geniale, dove mette le mani sono svalangate di quattrini che entrano in cassa, o non ne escono inutilmente, ma per la miseria ha un caratterino che lèvati, i suoi capi digrignano i denti… ma Gabriel, magico angelo, è unico, un altro così non c’è.. epperò porcacciamiseria così non si può andare avanti.

A quel tempo non mi scacciò, e cercai di essergli di aiuto, secondo lui con buon successo… vicende travagliate, liti, cartellini rossi, espulsioni, rientri, fino all’ultima rentrée, che orami dura da sei anni, lui ora 61, cavallo pazzo, moto e codino (mbé, ora il codino ce l’ho anch’io, lo trovo buffo, mi fa ridere) figlio cresciuto, Raphael (raffo, per gli amici) da anni negli UK, fa la sua strada, e bene anche, è arrivata Liza, occhi blu navy, insomma granpa, è nonno… e Gabriela? Trent’anni di matrimonio, lei professionista di buon successo, stabile e continuativo, clienti fedelissimi, penalista in ambito finanziario, nella sua rubrica parecchi nomi d’oro… leale, fedele, presente, buona con lui, ma Gabriel vuole il guizzo, la scintilla della candela che accende la miscela aria-benzina della moto che lo porta a folli velocità lungo i tornanti delle montagne… sì, sarà anche pazzo, ma come si fa a non esserne conquistati?

E la scintilla non c’è più, da decenni… il covid lo ha quasi accoppato, due mesi fa è finito in ospedale (ogni mattina lui corre, non fa, corre dieci chilometri tra le colline vicino a casa), embolia polmonare, poi arresto cardiaco, grazie ad un medico pazzo quanto lui viene fuori dalla buca, tra poco ricomincerà a correre… pensate che abbia smesso di volere la scintilla?

E io, in questi cazzutissimi casini, che diavolo c’entro? Sapete, negli anni ho scoperto una cosa che non avrei voluto sapere, ma non posso che arrendermi di fronte all’evidenza: per me, la condizione di allievo è talmente vicina alla condizione di figlio, o figlia, da farmi davvero faticare a distinguerli… non che mi sia difficile riconoscere che un conto è Davide, mio figlio di sangue, e un altro conto sono tutti gli altri, la genetica fornisce marcatori estremamente affidabili.

Ma è che, giusto o meno che sia, posso farci molto poco, per non dire niente, dal momento in cui accetto qualcuno come allievo, come allieva, la strada è chiara, limpida, facile da riconoscere: non importa se il mio incarico professionale finisce, giunge al termine, raggiunge gli obiettivi contrattualmente convenuti. Formalmente sì, tutto finisce quando è tempo che finisca, come da contratto.

È che il contratto vero per me è un altro: sì, ha un inizio, a volte riconoscibile, spesso, ma non sempre… e finisce quando finisco io, quando smetto di tirare il fiato, non prima.

Io non ho deciso questo, me lo sono ritrovato tra i piedi, lo so da qualche anno, mica da sempre… adesso non mi sta più tra i piedi, l’ho accettato, e ne sono molto contento.

E dunque, che diavolo c’entro in queste aggrovigliatissime vicende (e ne ho viste di davvero molto molto peggiori, credetemi), che faccio?

E che cosa volete che faccia, provo di dare una mano, con tutto quel che so e ho… e sono contento di farlo, di riattraversare inferni visti cento e cento volte, ma ogni volta è diverso, il dolore non mi viene risparmiato, è parte del viaggio, serve, è necessario, indispensabile per trovare la via di uscita, diversa per ciascuno, per arrivare ad un “dove” uguale per tutti noi… già, a riveder le stelle.

E da lì ripartire, capaci di non ripetere, ma di godersi il viaggio della vita, il più possibile, unico e diverso per ciascuno.

Non conosco meraviglia e bellezza più grande. E anche questo non l’ho deciso io… ma adesso lo accetto, volentieri, con tutto il cuore.