Tutto qui? 1) esplicitare e condividere la buona ragione che rende inaccettabile il risultato ottenuto, 2) ottenere dal collaboratore il piano di azione, la sua proposta di soluzione, 3) aiutare a realizzarla.
Purtroppo no.
Queste tre azioni aiutano, migliorano le probabilità di ottenere una adeguata soluzione al problema puntuale, vanno nella direzione dell’ottenere il riconoscimento di Helper, ma non bastano, non necessariamente ottengono il riconoscimento di cui abbiamo bisogno.
Che altro serve?
Il feedback negativo, per qualunque collaboratore, e per qualunque capo, si situa in più di una storia, anche quando i due si sono appena incontrati, nella storia del collaboratore e nella storia del capo; e se è da un po’ che collaborano, naturalmente anche nella storia della loro interazione, nelle storie che ciascuno dei due si porta dietro della interazione con l’altro.
Prendiamo il caso più semplice, apparentemente, i due hanno appena iniziato a collaborare, e complichiamolo un po’: il collaboratore non è un capoturno di un reparto di manifattura, è un millennial, risorsa pregiata assegnata da pochissimo al tuo reparto high-tech, nuovo collaboratore, è arrivato in ritardo alla riunione e con la sua parte di lavoro decisamente fatta con i piedi, con il risultato di ritardare e complicare il lavoro di tutta la squadra.
Nulla da segnalare nei pochi giorni precedenti, d’altra parte è proprio appena arrivato, le interazioni sono state necessariamente poche: ma sappiamo che la costituzione dell’Altro è un processo che si attiva subito, e utilizza ciò che ciascuno ha trovato nella sua storia, pezzi e personaggi del suo sistema Egoico, somiglianze e risonanze con altri personaggi incontrati, e, naturalmente, “conoscenze”, antipatie e simpatie che possono provenire addirittura dal codice genetico.
Il nostro millennial, ovviamente, dalla interazione con gli altri, con i nuovi colleghi, ha raccolto materiale sul conto del suo nuovo capo, racconti, pettegolezzi, o anche magari solo cenni, sfumature, micro-reazioni, forse anche da altri, prima di arrivare da noi. Ed ogni elemento raccolto va sul bilancio preventivo del Helper, attività, passività, costi e ricavi…
Lo stesso per il nostro manager, che diligentemente si prepara per la somministrazione del feedback negativo, tecnica Seven Step.
Nella tecnica è previsto uno step estremamente interessante, e di non facile esecuzione, proprio il primo: Riconoscimento Positivo. Che significa che nei primi istanti del colloquio il manager si deve impegnare a produrre segnali, segni e prove che dicano, inequivocabilmente, al collaboratore che non c’è niente di personale, che c’è stima e fiducia, che non è lui il problema da affrontare, ma che c’è un problema da affrontare e risolvere insieme.
Idealmente è facile, è il vecchio e utilissimo separa-persona-da-problema, le persone NON sono mai il problema, solo alcuni comportamenti, osservabili e descrivibili lo possono essere.
In pratica è un altro paio di maniche, anche per i manager esperti e ben addestrati.
Il punto più difficile di questo step iniziale è costituito dal contributo del nostro sistema emotivo, dai codici emotivi primari, semplici e molto efficaci: perbacco, è arrivato in ritardo, con un lavoro fatto con i piedi, rischiamo di andare lunghi con la consegna e tutti dovranno rimettere le mani sul loro pezzo, col cavolo che gli riservo il "Riconoscimento Positivo", è una minaccia grave per me e per la squadra.
La fregatura sono i neuroni mirror, registrano meccanicamente, implacabilmente, l’emozione che c’è, non quella che abbiamo in testa, e così il collaboratore sa se l’”Accoglienza Positiva” è vera o è finta.
Lo sanno i suoi neuroni specchio, per essere precisi: quello che il collaboratore fa di quello che sa è un altro paio di maniche. E quindi non è detto che non prenda per buona una simulazione. E nemmeno che non rifiuti una autentica accoglienza positiva… durante le esercitazioni che si fanno per allenarsi su questo step, sono molti quelli che commentano: ecco che arriva il pacco, comincia con le carezze e poi ti frega.
La storia chiede e ottiene il suo tributo, cambiarla non è cosa breve né facile. Il punto resta: proviamo a cambiare o rinunciamo? Per esercitare la Helping Leadership occorre provare, sapendo quel che stiamo facendo, ad ogni passo.
Il sistema emotivo è un problema?
Sì, il sistema emotivo, ed i suoi codici, è un problema, un problema da risolvere, una questione a cui dare risposta: non possiamo farne a meno, nessun umano può, e poi è utilissimo in molte situazioni, anche potendolo escludere sarebbe più il danno del guadagno.
Come abbiamo visto in precedenza (cfr emozioni e codici emotivi) è un sistema di direzionamento della azione e di allarme: al nostro manager è partito l’allarme quando il collaboratore ha fatto quel che non doveva e non ha fatto quel che doveva.
Più precisamente, il nostro manager incontra uno scarto rilevante tra ciò che trova, molto probabilmente, nel suo ambiente virtuale (il collaboratore arriva puntuale, il collaboratore fa diligentemente la sua parte) e ciò che trova nel suo ambiente reale.
Per il nostro sistema emotivo questo non va bene, lo scarto è una minaccia, fino a prova contraria, quando quello che troviamo nel nostro ambiente virtuale è troppo diverso da quello che troviamo nel nostro ambiente reale: allarme! O c’è qualcosa di minaccioso nell’ambiente reale, e va neutralizzato, oppure i nostri sistemi (pensiero operazionale, pensiero simbolico) non stanno funzionando a dovere, che è anche peggio.
E quindi scatta l’allarme, spingendoci ad agire immediatamente per allineare le cose: se funzioniamo correttamente, l’allarme deve scattare. Se non scatta abbiamo un altro problema, ce ne occupiamo un’altra volta.
Ricordiamo che quando diciamo allarme, trasmesso dal sistema nocicettivo, abbiamo a che fare con una sofferenza fisica, personale, e non con una sirena che suona da qualche parte: questo tipo di allarme ci tocca subito, in modo diretto ed estremamente efficace.
Il sistema emotivo ci predispone alla azione, immediatamente, per lui ogni istante è questione di vita o di morte, il codice per gestire la minaccia è lotta o fuga, semplice e diretto: e con questo va a farsi benedire l’accoglienza positiva.
Possiamo sopportare, temporaneamente, la sofferenza, per avere il tempo di sistemare le cose, ma non per molto: ignorare l’allarme? Impossibile, e oltretutto sconsigliabile. Inibire il codice lotta-fuga? Possibile. In ogni caso resta la segnalazione emotiva, e basta una traccia di ansietà (variante della emozione primaria chiamata paura), di fastidio (variante della primaria collera) per sollecitare il sistema emotivo del collaboratore. Riconoscimento Positivo? In queste condizioni, impossibile.
Così ci salta tutta la tecnica Seven Step, la Helping Leadership si affloscia come un palloncino bucato, ma quale Helper!
Come ne usciamo?
Qualunque soluzione efficace e tecnicamente valida richiede che sappiamo con che cosa abbiamo a che fare, e ora almeno ne sappiamo un po’ di più: e poi che abbiamo qualche idea di come averci a che fare. Una strada percorribile si chiama Postulato del Meglio