Supporto, follow-through, follow-up

Aiutare si concretizza nella accoglienza positiva, nell’individuare e condividere una buona ragione, nel chiedere proposte: anche se tutto accade nell’ambiente reale, si manifesta anche nell’ambiente reale, individuazione e condivisione della buona ragione e richiesta di proposte chiamano in gioco processi non visibili che accadono nell’ambiente virtuale.

Azioni e parole si dispiegano con l’obiettivo di sintonizzare, condividere, intuire, capire e conoscere che cosa ciascuno trova e fa nel proprio ambiente virtuale, inaccessibile ad altri, tutto questo costantemente finalizzato ad individuare la migliore azione possibile per la nostra sopravvivenza, per il nostro successo: il piede motivazionale del chiedere proposte è nella necessità di armonizzare virtuale e reale ricorrendo il più possibile all’impiego dei codici, dei neurogrammi, del collaboratore.

Sia a quelli che immediatamente rispondono alla necessità di azione, sia a quelli che generano o riadattano i codici che poi guideranno l’azione: nulla di nuovo, ciascuno sostiene più facilmente le proprie idee e le proprie soluzioni di quanto non sostenga quelle di altri, ma sapere perché (e ora un po’ lo sappiamo) e come questo accade e può essere sostenuto è di maggiore aiuto.

Aiuta a capire e a dosare il senso e l’impatto del dare ordini, istruzioni, del fornire quelle che secondo noi sono le soluzioni, le difficoltà sistemiche dell’obbedienza: letteralmente, nessuno può obbedire a nessun altro, se non a se stesso. Quando osserviamo qualcuno obbedire (apparentemente) a qualcun altro, ora sappiamo che stiamo osservando solamente gli effetti di ciò che questo qualcuno ha trovato per avere a che fare, tra l’altro, con quel qualcun altro, sempre e solo del suo meglio.

Obbedisce a se stesso, impiega i suoi codici: naturalmente, che altro può fare, per avere a che fare con il suo interlocutore, ed esegue l’ordine ricevuto se e solo se la sua elaborazione gli conferma che quella è la migliore azione possibile.

Le pieghe della motivazione ci interessano e ci riguardano: in apparenza il comportamento puntuale osservabile può anche essere molto simile, a noi serve enormemente capire e sapere se il quadro in cui si inscrive il comportamento puntuale è quello in cui il nostro collaboratore agisce secondo codici condivisi con noi, in cui noi siamo Helper, oppure quello in cui noi non siamo Helper, ma un problema da risolvere.

Perché? Preferisco correre il rischio di annoiare che evitare di esplicitarlo: perché sappiamo che questo è un predittore di come agirà il nostro collaboratore alle prese con la complessità delle cose che ha e avrà da fare.

Se siamo Helper le sue decisioni e le sue azioni saranno coerenti con il successo di un piano, di un progetto condiviso.

Se non siamo Helper si aprono tutte le altre strade, dal sabotaggio di cui NON potrà essere prodotta prova in alcun tribunale umano, allo sfruttare tutti gli elementi per sbarazzarsi del problema “Capo”, cosa che nelle organizzazioni ha molti modi per poter essere realizzata.

Le nostre possibilità di produrre concretamente prove di essere Helper non si fermano allo step della richiesta di proposte, ci sono un paio di altre azioni utili che possiamo compiere, la prima, in successione, è aiutare la transizione da virtuale a reale: la proposta, il piano del nostro collaboratore potrebbe (in genere dovrebbe) aver bisogno del nostro aiuto nell’ambiente reale.

Aprire corridoi e porte organizzativi, accesso a dati e informazioni, a risorse che è in nostro potere procurare: noi aiutiamo a realizzare, chi governa, gestisce e attua il piano è e resta il collaboratore.

Oppure aiutare nella messa a punto del piano, del piano collaboratore, individuando falle (e chiedendo soluzioni e proposte, ancora e sempre), segnalando ostacoli non visibili al collaboratore (e chiedendo soluzioni e proposte, ancora e sempre).

E aiutare nel tenere chiari e fermi i termini, i confini, cose vecchie ma non per questo scadute: che cosa, chi, come, dove e quando.  Banale? Proprio no, come ciascuno può testimoniare in diretta, il nostro ambiente virtuale è vorticoso e multiforme, conferirgli stabilità e poterlo usare per generare l’azione di successo non è né facile né banale.

Siamo quasi alla fine, di questa non breve trattazione del caso del feedback negativo e della indicazione delle azioni utili a costituirci come Helper, in breve: follow through e follow up.

Diamo prova di essere Helper quando seguiamo l’andamento della concretizzazione, e ad ogni ostacolo sollecitiamo proposte e soluzioni, aiutando poi nella concretizzazione progressiva.

Diamo prova di essere Helper non mancando assolutamente di celebrare la conclusione, l’esecuzione completa di quanto progettato o proposto, complimentandoci esplicitamente per il successo.

Ed in caso di insuccesso?

E va bene, è ovvio, e potevo risparmiarmelo: in caso di insuccesso, di un risultato insoddisfacente, ricominciamo da capo, che altro?

***

Ho tirato in ballo la tecnica Seven Step, come qualunque tecnica anche questa si risolve in indicazioni di che cosa fare e che cosa non fare. È una tecnica, e come tutte le tecniche aiuta ad affrontare casi-tipo, richiedendo all’esecutore di adattare la tecnica a ciascun caso particolare… e qui, negli anni, ho visto che gli esecutori incontravano difficoltà.

La fonte principale era costituita dalla relativa mancanza di una teoria, trent’anni fa costituita da poco più del buon senso, e ciascuno ha il suo buon senso: ora abbiamo accesso ad una teoria, se non completa, certo molto più robusta e coerente del buon senso individuale, e la conoscenza della teoria ci permette di generare gli opportuni adattamenti con maggiore facilità.

Adattamenti nello specifico della gestione del feedback negativo, e molto di più: le stesse indicazioni “tecniche”, operative, che abbiamo esaminato sin qui, valgono per la gestione di tutte le interazioni con i collaboratori in cui si tratta di

  • Assegnare obiettivi, anche quelli non facili e tendenzialmente sgraditi al collaboratore
  • Dire no ad una richiesta del collaboratore
  • Gestire gli effetti di un nostro errore
  • Effettuare la valutazione delle performance

Gli adattamenti, gli aggiustamenti necessari, non richiedono la conoscenza delle decine, centinaia, migliaia di varianti possibili della “tecnica”, conoscenza utile ad affrontare la considerevole variabilità e varianza delle configurazioni di interazione con cui abbiamo a che fare, variabilità e varianza inevitabilmente prodotte dalla complessità sistemica degli attori in gioco.

La conoscenza dei fondamentali della sistemica semplifica tutto, abbiamo una sicura e "semplice" linea guida da seguire per trovare la variante che ci serve.

Leadership? Semplicemente aiuto.


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