Intermezzo – il sogno

Solo per cercare di vedere dove vorremmo arrivare, o almeno di immaginarlo: fin qui, più di settemila parole per mettere in fila e tenere ordinati gli elementi che ci permettono di indirizzare la rabbia, di comprendere a che cosa e come opporci.

Il lavoro non è finito, ne abbiamo ancora per molto, e potrebbe farci bene alzare gli occhi, per poter guardare al lavoro compiuto e a dove vogliamo arrivare, dopo aver sopportato fatica e disagi.

Poca o tanta, abbiamo sopportato la fatica dei passi percorsi sin qui, dominando la nostra naturale inclinazione a risolvere la collera in un singolo, rapido, gesto, per poi passare oltre: ciò che abbiamo visto non ci ha rallegrato, non dovrebbe e non può.

E anche questo è scritto nel nostro dna, nella nostra stupefacente complessità: per individuare ciò che non va siamo costretti a utilizzare il radar del nostro sistema nocicettivo, sistema che usa sostanzialmente il segnale del dolore per fare il suo lavoro.

Anticamente, arcaicamente, il compito di aiutarci a identificare rapidamente da che cosa allontanarci è svolto dal sistema nocicettivo: è che riuscire a sapere da che cosa prendere le distanze non è ancora sapere verso dove andare, sapere che cosa NO non è sufficiente per sapere che cosa SÌ.

Di nuovo, la nostra dotazione genetica offre un formidabile aiuto, un secondo sistema fornisce indicazioni più precise sul dove andare, che cosa fare invece, ed è il sistema proficettivo.

Non ci si affanni a cercarlo, non è rubricato tra i sistemi che costituiscono il nostro meraviglioso organismo, gli studiosi di queste cose, fino ad oggi, ne trattano e ne discutono in termini di centri del piacere, e non di sistema: a me non sembra che sia altra sensata possibilità, non si tratta di centri, ma di un sistema complesso e completo, che si innerva, per così dire in tutti gli altri, nel funzionamento di tutti gli altri, ad eccezione, naturalmente, del sistema nocicettivo.

Il segnale che il sistema proficettivo impiega per aiutarci a identificare che cosa SÌ, dove andare, che fare invece, è il piacere: piacere e dispiacere non si collocano su un continuum, sono proprio due segnali diversi, generati da due sistemi indipendenti, per il nostro vantaggio e la nostra sicurezza, come sappiamo spesso funzionano in parallelo, senza escludersi a vicenda, fatto che tende a sconsigliare di collocarli sullo stesso continuum.

Seguendo il segnale del sistema proficettivo, il segnale del piacere, che cosa possiamo iniziare a vedere, sul nostro orizzonte, verso quale meta ci stiamo dirigendo, verso quale regolazione della convivenza tra i soggetti della nostra specie?

Dobbiamo e possiamo congegnare ciò che serve per garantire a noi ed ai nostri figli, ai nostri cari, agli altri, a tutti gli altri, ai loro figli ed ai loro cari, dalla nascita alla morte, una dignitosa qualità di vita, mantenendo un piede di ragionevole uguaglianza di condizioni, e di ragionevole riconoscimento di differenza.

Differenze di configurazione dei bisogni di ciascun singolo individuo, ad ogni stadio di sviluppo, ad ogni età, del diverso tipo e grado di aiuto e supporto di cui ciascuno ha bisogno per dispiegare le proprie capacità, i propri talenti, vivendo ed agendo con gli altri in modo da poter, a sua volta aiutare e sostenere gli altri.

Differenze di grado di espressione di capacità simili, poiché non sembra possibile (ne parleremo in seguito) ignorare, obliterare, il confronto e la competizione: dovremo e potremo riuscire a fare in modo che questa insopprimibile, e potenzialmente generatrice di buoni frutti, inclinazione aiuti e supporti la vita di ciascuno e di tutti.

Ci stiamo girando intorno da un po’, non possiamo negare che molti nodi si formino, inestricabili e stringenti, intorno alla gestione della proprietà, del diritto alla proprietà, e della espressione di quel diritto.

È un ganglio vitale, non può essere semplicemente tagliato, asportato, deve trovare adeguata collocazione e possibilità di buona espressione, evitando accuratamente che possa mai trasformarsi e alimentare quel che oggi abbiamo sotto gli occhi, ogni giorno.

Sotto gli occhi abbiamo la sproporzione tra ricchi e poveri, uno a cento, abbiamo le morti per fame, per insufficienti cure mediche, per insufficiente sapienza, per guerre fratricide.

E là, là dove vogliamo andare, questo non deve e non può esistere.

Sotto gli occhi abbiamo gli effetti dell’esercizio della violenza, materiale e sociale, sulle minoranze, su comunità, su gruppi, su singoli, uomini e donne, soprattutto sulle donne.

E là, là dove vogliamo andare, questo non deve e non può esistere.

Là, là dove vogliamo andare, ciascuna singola identità è riconosciuta e rispettata, non servono passaporti, dogane, i confini territoriali hanno pura valenza geografica, nulla di più.

Le lingue sono molte, poiché la diversità di lingua è, immediatamente, possibile diversità di pensiero, potenziale ricchezza da preservare, ma ciascuno parla e pensa anche in una lingua comune.

L’ingegno di ciascuno e di tutti viene profuso per rimettere e mantenere in buon equilibrio la sopravvivenza e la vita della nostra specie con l’ambiente, considerato in tutti i suoi molteplici e complessi aspetti.

Lo studio, la riflessione, la crescita del sapere non è solo garantito per tutti, ma è impegno di tutta la vita, permanente, dosata, ma abbondante e continua attività di ciascuno e di tutti.

Migliaia, forse decine, centinaia di migliaia, sono gli aspetti minuti della vita di ciascuno e della vita della comunità planetaria a cui apparteniamo, e di ciascuno possiamo e dobbiamo occuparci, accettando i nostri limiti, e consapevoli dei nostri vincoli.

Anche della apparentemente, ad ora, invincibile propensione a delinquere di alcuni, indipendente e forse follemente connessa a forme di sopravvivenza reale e virtuale devastanti e devastate… anche se possiamo confidare che, una volta armonizzato il ganglio della proprietà, assicurato a ciascuno l’aiuto ed il supporto di cui ha bisogno, dalla nascita alla morte, vedremo scomparire quasi tutti i crimini ed i criminali.

Quasi tutti.

Dovremo e potremo occuparci con buon successo dell’esercizio della forza, non solo nella plausibile fase di transizione, ma anche dopo.

E anche se di tutto questo noi non vedremo realizzato nulla, ebbene, non importa, avremo comunque ben impiegato il nostro tempo, qui, ora, in queste letture, in queste riflessioni, negli studi e negli approfondimenti che potremo e vorremo fare.

Abbiamo ed avremo ben impiegato il nostro tempo nel rigenerare e custodire un sogno di una comunità umana perduto da troppo tempo, della possibile convivenza pacifica e solidale entro l’intera comunità umana, coincidente con l’insieme di tutti i membri della nostra specie, in ogni luogo del pianeta.

Un sogno possibile, ragionevole, realizzabile, da consegnare ai nostri figli.

Un sogno che ci aiuta e ci sostiene nel misurare con sufficiente precisione la distanza tra ciò che vediamo e ciò di cui abbiamo veramente bisogno, nell’individuare con rigore e verità, chi, in buona o meno buona fede, ci indica un sentiero che porta ad alimentare il disastro attuale, e chi prova ad andare nella direzione buona che noi abbiamo trovato, buona per ciascuno e buona per tutti.

Un sogno che ci permette di leggere le infinite sciocchezze che vengono dette e scritte ovunque, senza limiti e critiche, riconoscendole per ciò che sono, sciocchezze: dette e scritte dai potenti della terra, e non meno dalla gente comune, tutti prigionieri di un incubo che coincide con la realtà.

Alla fine, un sogno non è altro che un progetto a cui manca una data.


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