Virus

Desidero condividere con te una geniale intuizione che ho avuto durante la mia missione qui.

Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie.

Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate.

Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è?

Il virus.

Qualcuno avrà forse riconosciuto il monologo, abbastanza famoso, e francamente non ho resistito alla tentazione di usarlo per aprire questo terzo contributo: una parte della umana strategia di sopravvivenza può essere descritta come l’agente Smith la racconta a Morfeus.

Una parte, una parte molto piccola, in verità, e a noi serve disporre di un quadro decisamente più ampio: la complessità sistemica di cui siamo eredi e prova è enormemente superiore a quella dei virus. Ma non diversamente dai virus, la determinazione di ciascuno a dispiegare la propria strategia di sopravvivenza ha un solo modo per cessare.

Ricchi e poveri, giovani e vecchi, letterati e illetterati, maschi femmine e transgender, quasi otto miliardi di soggetti hanno in comune questa proprietà emergente, la vitale incoercibile determinazione a dispiegare la propria strategia di sopravvivenza. Se usiamo la lente di ingrandimento, possiamo scorgere e individuare differenze, apprezzabili differenze che identificano ciascun soggetto vivente come unico e irripetibile rispetto a tutti gli altri.

Quando cerchiamo gli elementi simili, comuni a tutti i soggetti, li troviamo, naturalmente, data la somiglianza sistemica che fonda e legittima il giudizio di appartenenza ad una specie piuttosto che ad un’altra: umani e virus sono entrambi sistemi biologici, ma non ci vuole un genio per riconoscere che non fanno parte della stessa specie, almeno così come nel corso dei secoli siamo riusciti a identificarle e riconoscerle.

Ad ogni generazione, ad ogni replicazione, si riapre teoricamente la roulette della combinazione cromosomica, della copia del dna per gli umani, della sola replica del dna per i virus, a quanto ne so: mutazione ed evoluzione vanno a braccetto, almeno questo credo di aver capito del concetto chiave di evoluzione.

Le copie possono essere perfette, o presentare piccole variazioni, le variazioni possono rivelarsi “istruzioni” preziose per la sopravvivenza dell’organismo in concomitanza con una variazione di ambiente, oppure in relazione ad un ambiente stabile ma poco favorevole: così l’”errore” di copia può rivelarsi un’arma vincente per la sopravvivenza.

Certo, può anche dispiegarsi in azioni ancor meno adeguate rispetto all’ambiente, lungo la linea dell’obbligo alla sopravvivenza, rispetto all’originale copiato, con questo, sostanzialmente, mettendo a morte, più o meno rapida, il nuovo organismo. La chiamano selezione naturale, concetto vecchiotto ma ancora in buona salute, regge benissimo nonostante i suoi centocinquant’anni.

I virus mutano in fretta, molto più in fretta di quanto sia possibile osservare degli umani, di cui si registrano pochissime e non così rilevanti modificazioni, mutazioni, da migliaia di anni…. Sì, è vero, alcuni hanno “sviluppato” una milza più potente, cosa che li rende apneisti formidabili. Il cerebro no. Stabilissimo, sorprendentemente stabile.

E che il cerebro, il nostro sistema neurale, sia relativamente stabile, nella sua configurazione sistemica, è un dato per noi estremamente rilevante: le nostre complesse strategie di sopravvivenza sono soprattutto lì dentro, trasmesse di generazione in generazione.

Invincibili, incoercibili. In qualche misura, va riconosciuto, “educabili”: in qualche misura, cioè, possono essere reindirizzate, non bloccate, non arrestate, non azzerate, questo no, non è possibile, almeno stando alle continue scoperte in ambito neuroscientifico. Ma in parte reindirizzate sì.

Sono figlio di contadini, frutticultori (classe del tutto diversa dagli orticultori, tutto un altro mondo), gli alberi da frutto fanno parte della mia infanzia e della mia adolescenza: loro crescono, continuamente, salvo che le radici non siano compromesse da qualche bestiaccia, o da qualche veleno, salvo che non trovino nutrimento e acqua, allora muoiono, si seccano, e non crescono più.

Altrimenti crescono, sviluppano rami, foglie, frutti, si comportano come il loro codice genetico gli dice, gli ormoni fanno il loro dovere: ai frutticultori non basta, sono rarissime le piante da frutto che non richiedano “una mano” per comportarsi bene, sempre secondo il punto di vista dei frutticultori. Che farebbero volentieri a meno di radici, fusti, rami e foglie, a loro interessano i frutti, da raccogliere, vendere al mercato, e ricavarne di che sopravvivere.

E invece gli tocca occuparsi di radici, fusti, rami eccetera, e poi alla fine, con un po’ di fortuna, molta fortuna, finalmente, raccogliere i frutti, venderli al mercato, incassare denaro, e cercare di far tornare i conti di casa.

Alcune cose si possono fare per educare le piante, principalmente due: tagliare rami, potarle, e piegarne i rami. Potarle per indirizzare la linfa nutritiva verso altri rami, la circolazione linfatica non si può fermare. Piegare i rami, tendendo a portarli in orizzontale, poiché in genere da un ramo orizzontale è più facile che emerga una gemma fruttifera, grazie all’intervento di alcuni ormoni che “lavorano” quando il ramo è in orizzontale, e lavorano molto meno quando è in verticale rispetto al piano del terreno.

Insomma la pianta “sa” che è “meglio” mettere il frutto su un ramo orizzontale, cadrà più lontano dal fusto, potrà trovare terra in cui radicare e sviluppare una nuova pianta, avrà più luce, non dovrà combattere con il ramo per avere spazio in cui crescere. Ma “sa” anche che deve sopravvivere, e così sviluppa prevalentemente rami che vanno su, a prendere aria e luce, indispensabili alla sua vita: il frutticultore non apprezza, e così o piega il ramo che tenderebbe ad andare su, verso il cielo, o lo taglia, sapendo che la linfa andrà ad alimentare altri rami. E la pianta si rassegna.

Sono entrambe operazioni di una certa complessità, che i frutticultori hanno imparato ad eseguire nel corso dei millenni, con risultati apprezzabili rispetto all’incremento della produttività.

Anche confrontati con le piante, già organismi meravigliosi, noi siamo molto più meravigliosi, enormemente più complessi: ma anche per gli umani la legge resta quella dei virus, e poi delle piante, biblicamente riassunta nel “andate e moltiplicatevi”.

Anche gli umani obbediscono, pressoché ciecamente, ad alcune leggi, geneticamente tramandate, inscritte nel nostro sistema neurale: insomma siamo configurati, sistemicamente configurati, per dispiegare alcune azioni chiave, le vediamo ogni giorno, tutti le conosciamo.

La prima è proteggere con ogni mezzo la propria integrità sistemica, fisica… e i mezzi sono tantissimi

La seconda è la predazione, in tutte le forme che ci consentano di alimentare e proteggere il nostro organismo: il comando di innesco è associato alla fame, alla sofferenza, al dolore.

La terza è presidiare le fonti di “rifornimento”, le forme sono diverse, molteplici, dall’attaccamento alla mamma al fare scorte e segregarle.

La quarta è l’accoppiamento regolato da una “strategia” tendenzialmente monogamica con possibili, anche frequenti, eccezioni

La quinta è l’associazione ai nostri simili, o loro varianti, molte le forme anche qui.

La sesta è la protezione della comunità di cui siamo membri e della prole, non inizio neanche ad elencare le prime possibili forme

La settima è trovare il proprio rango, la propria collocazione nel pecking order della comunità cui apparteniamo, il più alto possibile

Fin qui siamo e restiamo su un piano che potremmo chiamare primario, in cui la nostra vita si dipana senza necessità di pensiero: il pensiero umano, meraviglia delle meraviglie, è reso possibile dal nostro straordinario sistema neurale, i sistemi che ci permettono di generare pensiero presentano anch’essi incoercibili determinazioni, e dovremo occuparcene.

Basta quel che abbiamo messo sul piatto fin qui per capire che abbiamo a che fare con una variante evoluta del virus, pandemizzata da millenni, strutturalmente incurabile e insopprimibile, se non terminando la stessa esistenza dell’intera umanità.

Basta per concludere che la convivenza con i propri simili, appena si esce dal ristretto confine delle comunità reali a cui apparteniamo, sempre più piccole, è di difficilissima soluzione.

Basta per capire che i ricchi e i poveri sono solo effetti collaterali della nostra poco coercibile necessità di dispiegare le azioni che il nostro codice genetico ci propone con la stessa forza del comando di respirare.

Tuttavia, i fatti (non alternativi) di queste settimane sono la prova che possiamo contenere questa particolare, endemica, pandemia, che possiamo realizzare condizioni di buona esistenza per l’intera nostra specie, che è, nei fatti, oggi in modo ancora più evidente e palmare, una sola comunità planetaria.

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