L’Altro

“Ti trovo proprio bene”

Qualcuno che ci ha detto questo, più o meno di recente, lo abbiamo tutti: un altro, qualcuno ci dice che ci trova in buona forma.

Un altro chi? Siamo abituati a collocare l’altro rispetto a noi secondo modalità certo diverse, ma non poi tanto diverse: gradi di parentela, gradi di vicinanza, gradi di conoscenza, gradi di importanza, gradi di confidenza, gradi di fiducia sono tra le scale più comuni.

L’azione che si correla al sentirci dire “ti trovo proprio bene” dipende anche dalla posizione che l’altro ha sulle nostre scale, azione che possiamo collocare, provvisoriamente, in un punto del continuum che unisce, agli estremi, accoglimento e rifiuto.

Ormai siamo abituati a passare velocemente dall’ambiente reale (dove appunto qualcuno ci dice che ci trova proprio bene), all’ambiente virtuale, dove il nostro Sistema Egoico è continuamente al lavoro: tutte le istruzioni su come avere a che fare con una configurazione di ambiente di quel tipo vengono individuate, attivate e fluiscono con la precisione e la velocità necessaria a governare l’adeguata interazione con l’Altro.

Interazione che noi osserviamo, nell’ambiente reale, fluire semplice e facile, questione di secondi, di frazioni di secondo: eppure la quantità di informazioni da elaborare è assai considerevole.

Secondo alcuni studiosi, il modo prevalente di elaborazione delle informazioni del nostro sistema neurale è di tipo quantistico, poiché la elaborazione seriale, per serie di dati e di opzioni, richiederebbe troppo tempo, e non saremmo capaci di “rispondere” così prontamente e in modo congruo nel brevissimo tempo che invece, normalmente, impieghiamo [1].

Tra le condizioni che consentono questo particolare tipo di calcolo, vi è il raggruppamento per plessi di dati, almeno a quanto sono riuscito a intendere: insomma, per “rispondere” non passiamo in esame tutte le possibilità, ma consideriamo plessi, raggruppamenti di combinazioni.

Siamo ancora alla ricerca degli elementi che ci possono consentire di considerare l’Io un sistema, delle relazioni che devono esistere tra gli elementi del Sistema Egoico per poterci consentire di considerarlo un sistema: purtroppo dobbiamo basarci su indizi convergenti, e attendere, per le prove cogenti che la ricerca scientifica potrà fornire, di disporre di strumenti e metodi di indagine molto più avanzati di quelli oggi a disposizione.

Anche nella nostra comune vita quotidiana gli indizi non mancano: nell’osservare il comportamento altrui (e a volte anche il nostro) accade abbastanza di frequente di notare che la stessa persona agisce in modi così diversi da farci pensare che si tratti di persone diverse, come se subisse una sorta di trasformazione.

O ancora di riscontrare curiose somiglianze: parla come suo padre, cammina come sua madre, ha la risata del nonno, si atteggia come il suo nuovo professore, come la sua nuova amica.

La ricerca scientifica proibisce il ricorso all’introspezione, all’auto-osservazione, e giustamente: tuttavia non trovo così illegale suggerire di annotare, tra gli indizi, anche la comune esperienza del auto-rimprovero, parte del flusso delle nostre conversazioni con noi stessi, dove, con maggiore evidenza rispetto ad altre condizioni, possiamo descrivere la scena virtuale come abitata da una parte di noi che ne rimprovera un’altra.

La ricerca scientifica accetta, almeno sino ad oggi, l’attendibilità di una diagnosi di personalità multipla: la stessa persona, in parole povere, presenta in tempi diversi modi di condursi che vengono ricondotti a personalità diverse, talmente diverse che l’una non sa, non ricorda che cosa ha fatto l’altra, dottor Jekyll e Mister Hide, per intenderci.

In genere questa è considerata una grave patologia, nella normalità noi siamo abituati a correlare una sola personalità, magari sfaccettata e variegata, a ciascuna persona.

Siamo abituati a considerare noi stessi (cosa scientificamente non legale, dato che per farlo dobbiamo ricorrere all’auto-osservazione) e gli altri (oggetti osservabili nell’ambiente reale, osservazione dunque scientificamente valida) come sostanziale unità, non già come sostanziale molteplicità: trasformiamo la molteplicità osservabile in sfaccettature, variegature, aspetti contigui che non violano il principio di unità.

La concezione sistemica ci aiuta a trovare una diversa via di uscita alla piatta contraddizione tra uno e tanti: siamo sistemi integrati, siamo unità biologiche costituite da sistemi integrati.

Così non vi è sostanziale diversità tra la “normale” personalità (una e identificabile) e la personalità multipla: considerandola una patologia, come la scienza ufficiale ci autorizza a fare, tuttavia possiamo usarla per trovare luce sulla cosiddetta normalità.

Possiamo congetturare che le diverse personalità che si manifestano in modo così vistoso nei soggetti afflitti da quella patologia, personalità che funzionano l’una indipendentemente dall’altra, avvicendandosi alla guida della unità biologica siano il risultato di una integrazione sistemica più rudimentale, per così dire, di quella di cui pare godere la maggioranza delle persone.

Una integrazione che potremmo descrivere in quei casi come ottenuta per giustapposizione di elementi complessi, plessi di plessi-sequenze di neurogrammi giustapposti, messi uno accanto all’altro, ciascuno conservando la sua autonoma configurazione: configurazioni che si manifestano nella loro diversità quando chiamate a tentare di governare la relazione con le configurazioni di ambiente (reale e virtuale) in cui l’unità biologica si trova, e che possono solo avvicendarsi, l’una escludendo nettamente l’altra.

Quegli stessi elementi complessi, diversamente integrati, sono il correlato di quanto chiamiamo normalità: una integrazione più sofisticata, per così dire, non giustapposizione, ma rinvio, rimando, connessione, chiamata in gioco, tra configurazioni e tra gli elementi che costituiscono le configurazioni.

Elementi che, ancora, altro non sono se non i nostri plessi-sequenze di neurogrammi, codici guida di azioni salvifiche, ereditari ed appresi, sviluppati dalla unità biologica nel suo incontro con gli ambienti in cui vive, a cui, come sistema, si riferisce.

Per i nostri scopi, in attesa di una certificazione della ricerca neuroscientifica, riconoscere l’esistenza e il contributo del Sistema Egoico permette di sviluppare strategie e soluzioni altrimenti impossibili: la prima, e più importante, è di individuare una scala di collocazione dell’Altro altrimenti inconcepibile.

Basicamente, l’Altro si colloca in un continuum che unisce la condizione di essere costituito da elementi completamente integrati nel Sistema Egoico alla condizione di essere costituito da elementi totalmente estranei al Sistema Egoico.

È bene ricordare che il Sistema Egoico è costituito da tutti i neurogrammi che governano azioni salvifiche: un possibile esempio “reale” di collocazione prossima all’estremo di integrazione completa nel Sistema Egoico è l’innamoramento umano.

La seconda strategia/soluzione consentita dal riconoscere l’esistenza e il contributo del Sistema Egoico è la possibilità di considerare l’Io (il Sistema Egoico stesso) come un Arlecchino, come una compagnia teatrale, come un sistema che integra l’attivazione di plessi di plessi-sequenze di neurogrammi tra loro integrati, raccolti cioè in plessi, con questo “rispondendo” più adeguatamente alle necessità di elaborazione e dispiegamento della azione salvifica.

Plessi di plessi che plausibilmente vengono configurati (e poi attivati) elaborando e stabilizzando ciò che riceviamo dai nostri simili in termini di azioni di aiuto e supporto alla nostra sopravvivenza, incarnate da chi incontriamo nell’ambiente reale: figure parentali, maestri, amici, sono tra i primi e più importanti contributori per confezionare il nostro Arlecchino, per costituire la nostra compagnia teatrale, per dare forma alla nostra personalità.

E alle nostre personalità

[1] Tra le poche citazioni del lavoro di altri che mi permetto di fare, rimando ad un magnifico articolo di Tito Arecchi, Congetture quantistiche, raccolto in Strutture di Mondo vol.2, Il Mulino 2013



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