“Meglio che tu faccia come ti hanno detto.”
Spero di essere riuscito, almeno un poco, a rendere l’idea della meravigliosa complessità che si cela anche dietro le più semplici cose umane, il breve consiglio che ho adottato come inizio di queste osservazioni non fa eccezione.
Prima o poi ciascuno di noi se lo è sentito rivolgere, in quella forma esatta o in una delle sue numerose varianti, forse lo ha seguito, forse no: è una brevissima narrazione, qui resa in forma di testo scritto, è un reperto, qualcuno, in un tempo ed in un luogo indefiniti ci ha detto questo.
La questione che pongo ora è chi ha detto che cosa a chi, e per ciascuno di noi la risposta al primo chi è diversa, la risposta al secondo chi è comune: lo ha detto a noi, nulla di difficile o misterioso.
Le cose sono un poco più complesse di così, vediamo come riusciamo a cavarcela: iniziamo dal primo chi.
Indipendentemente dalla identità anagrafica, il reperto, come una sorta di graffito preistorico, è prova di una azione che un nostro simile ha compiuto: ora sappiamo che, come qualunque azione, anche questa ha natura salvifica, finalizzata alla sopravvivenza del soggetto narrante.
È una azione che tende a governare l’interazione con gli ambienti in modo da ottenere condizioni favorevoli alla sopravvivenza: anche se non possiamo sapere esattamente come questo possa giustificarsi in dettaglio, dal punto di vista del soggetto narrante, sappiamo che non può che essere così.
Abbiamo accettato che un primo beneficio che il narrante ottiene consiste nel rendere simili, vicini, ambiente reale e ambiente virtuale, ed è certo anche possibile che il nostro obbedire al consiglio, nella previsione del narrante, si correli al prodursi di configurazioni dell’ambiente reale che gli sono più favorevoli di quelle registrate al momento in cui produce la sua breve narrazione.
Possibilità che identifica un secondo beneficio. Cerchiamo di adottare il punto di osservazione del narrante: ti dico che è meglio che tu faccia come ti è stato detto.
Mentre facciamo questo, nell’ambiente, reale, abbiamo chiara certezza di noi e altrettanto chiara certezza dell’altro: il nostro organismo produce una sequenza relativamente articolata di suoni, azione guidata da plessi-sequenze di neurogrammi, individuati dalla elaborazione finale del nostro Sistema Pensiero Simbolico.
Ora sappiamo che, simultanea alla presenza dell’altro nel nostro ambiente reale, abbiamo avuto e abbiamo a che fare con l’altro nel nostro ambiente virtuale, come elemento del nostro ambiente virtuale che si costituisce come (almeno) parte di un problema da risolvere.
Il Sistema Pensiero Operazionale non ce l’ha fatta, non è riuscito a trovare la soluzione al problema che tutti gli altri sistemi gli hanno portato, non è riuscito a trovare il modo per far sì che l’altro facesse come gli era pur stato detto, che seguisse le istruzioni che pure gli erano state consegnate.
Ed abbiamo risolto che la cosa migliore da fare fosse quella di ammonirlo.
Se, osservando la scena nell’ambiente reale, nessuno può seriamente avere dubbi su chi dica che cosa a chi, meno facile è la questione trasportata nell’ambiente virtuale, anche se certo non impossibile da risolvere.
È bene ricordare che l’ambiente virtuale non è una copia dell’ambiente reale, ma è frutto della elaborazione del nostro sistema neurale: abbiamo a che fare con un l’equivalente di un “concerto” di neurogrammi, con un flusso relativamente ordinato di attivazione/disattivazione di plessi-sequenze di neurogrammi.
Con questo in mente, in questo concerto possiamo serenamente assumere che esista una differenziazione tra le configurazioni di plessi sequenze di neurogrammi che si correlano all’Io nell’ambiente reale, e le configurazioni che si correlano all’Altro.
Chi siamo noi, che cosa siamo, che cosa sia Io, a questo punto delle nostre riflessioni, è relativamente semplice dire: siamo l’insieme di tutte le azioni salvifiche che svolgiamo e che possiamo svolgere, le prime osservabili nell’ambiente reale e guidate dai correlati plessi-sequenze di neurogrammi attivati, le seconde in qualche modo parzialmente “osservabili” nei nostri rispettivi ambienti virtuali.
Inclusa l’azione reale, per quanto non visibile ad oggi, che modella, costruisce, costituisce l’Altro nel nostro ambiente virtuale, anch’essa guidata dai correlati plessi sequenze di neurogrammi.
Il correlato dell’Io nell’ambiente reale, che possiamo identificare nell’ambiente virtuale, è l’insieme dei plessi-sequenze di neurogrammi che guidano le nostre azioni.
E penso possiamo fare un passo in più, e azzardare un ulteriore arricchimento della nostra congettura, basata sul nostro costante riscontro, nell’ambiente reale, della relativa stabilità di condotta che riscontriamo osservando gli altri e noi stessi, stabilità che chiamiamo anche carattere, personalità, un aspetto distintivo del come le persone agiscono nel fare ciò che fanno.
L’Io virtuale dispone di una correlata considerevole stabilità, sufficiente per identificarlo come Sistema Egoico, costituito da tutti i neurogrammi che guidano le nostre azioni, quelli che abbiamo ereditato dai nostri genitori, clonato o copiato dai nostri simili, forgiato per tentativi ed errori.
Abbiamo bisogno di collocarlo adeguatamente nella nostra congettura sistemica, la migliore soluzione è considerarlo proprietà emergente del Sistema Pensiero Simbolico [1]: l’ambiente di riferimento del Sistema Egoico resta dunque l’ambiente virtuale.
Abbiamo anche bisogno di tentare, almeno, di individuare quali relazioni distintive tra gli elementi costitutivi soddisfino la condizione che ci permette di considerare il Sistema Egoico come sistema: tra gli elementi costitutivi di un sistema devono esistere relazioni identificabili.
Nell’osservare un soggetto nell’ambiente reale il compito è abbastanza facile, la sua configurazione, come è il naso, la bocca, gli occhi, quanto è alto, subisce variazioni nel corso degli anni, ma in genere non troppo vistose e non così rapide da impedirci di riconoscerlo: con il Sistema Egoico le cose non sembrano altrettanto facili.
Ma ce la faremo.
[1] Questa decisione è coerente con la teoria generale dei sistemi, così come si è venuta configurando nei decenni scorsi, troppo lungo declinarne qui puntualmente i passaggi. Per approfondimenti rimando volentieri alla magnifica raccolta di scritti a cura di Lucia Urbani Ulivi, Strutture di Mondo, tre ottimi volumi pubblicati da Il Mulino