Narrazione Efficace

I have a dream.

Narratore efficace è chi viene accolto come Helper, la narrazione efficace consiste nella presentazione di elementi (parole pronunciate, scritte, simboli, immagini statiche o dinamiche) che vengono riconosciuti ed accolti come di aiuto nel quadro dei bisogni di chi accoglie la narrazione.

Consolidiamo un punto centrale, rispetto alla efficacia della narrazione: non possiamo separare narrazione da narratore, come entità sistemiche la nostra elaborazione procede integrando gli elementi relativi ad entrambi gli aspetti.

Non che il resto, tutto quello che riteniamo di sapere sul buon confezionamento della narrazione da parte del narratore, sia inutile o irrilevante: nella nostra prospettiva la centralità è attribuita all’aiutare e all’essere aiutati.

Efficace rispetto a che cosa?

Efficacia indica il rapporto tra un obiettivo ed un risultato, sin qui ci siamo limitati ad indicare una condizione di efficacia, indipendente da contesti, ambienti e contenuti, un criterio di valutazione che adottiamo nell’osservare i narratori ed i destinatari della narrazione.

Ci siamo addentrati nella sistemica con lo scopo di trovare soluzioni pratiche, risposte pratiche, non già per il solo gusto di intrattenerci sulle meraviglie della nostra natura sistemica: ora proviamo a iniziare a mettere a terra ciò che abbiamo raccolto.

Ho aperto con una nota citazione, “I have a dream”, ritenuta tra le narrazioni più efficaci della storia dell’occidente, sappiamo che si riferisce ad un contesto specifico, che sintetizza desideri e sofferenze, che indica una linea di azione, e molte altre cose ancora: nella nostra vita quotidiana non abbiamo a che fare, generalmente, con questioni di quella portata.

Tuttavia abbiamo quotidianamente a che fare con questioni, con problemi, con bisogni, che, seppure di portata assai più modesta, sono per noi, per definizione, importanti: la nostra narrazione, dal nostro punto di osservazione, è efficace nella misura in cui riesce ad ottenere il risultato di risolvere i problemi e soddisfare i bisogni con cui abbiamo a che fare.

Come Narratori il riscontro è costituito dalle evidenze che riusciamo ad ottenere relative alla accoglienza che il nostro interlocutore ha riservato alla nostra narrazione: obbedisce, tiene conto, apprezza, integra, insomma agisce nell’ambiente reale in modo adeguato, per noi, ad ottenere, per noi, condizioni che sostengono favorevolmente la nostra sopravvivenza (e tutti i suoi derivati e correlati).

Come destinatari e recettori della narrazione, il riscontro di efficacia è del tutto simile, con l’unica differenza di concentrare il riscontro sulla adeguatezza della nostra azione, nell’ambiente virtuale e nell’ambiente reale: un dubbio eliminato, una nuova connessione individuata, un risultato migliore, molte le forme del riscontro a cui possiamo accedere.

***

Ogni forma della comunicazione umana è una narrazione, non importa quanto breve o ampia, non importa quale mezzo espressivo venga impiegato: in ogni atto comunicativo entra in gioco il lavoro dei nostri sistemi, in ogni atto comunicativo entra in gioco l’Helper e l’aiuto.

Abbiamo definito “aiuto” come ciò che contribuisce positivamente a ottenere, per noi, condizioni che sostengono favorevolmente la nostra sopravvivenza (e tutti i suoi derivati e correlati): cioè, al piede dell’aiuto, naturalmente, abbiamo posto il bisogno e tutti i suoi derivati e correlati, incluso il desiderio, che del bisogno è una delle forme di espressione.

Consapevoli, con questo, di aver aperto un fronte enormemente complesso e variegato: ciascuno di noi ha prova diretta e quotidiana delle innumerevoli forme dei bisogni e dei desideri che i nostri simili esprimono, come anche prova della presenza di bisogni e desideri che non vengono espressi e manifestati, sia per consapevole decisione dei nostri interlocutori, sia inconsapevolmente.

Ciascuno di noi ha prova diretta e quotidiana della frequente “erroneità” del giudizio (nostro e degli altri) circa ciò che aiuta e ciò che non aiuta, e del vicolo cieco in cui finiamo quando tentiamo di convincere qualcuno che sta sbagliando valutazione: magari ora porteremo migliore attenzione, cercheremo di essere migliori Helper, ma resta ferma la questione della enorme variabilità (e spesso incomprensibilità, per noi) sia dei bisogni, dei desideri che delle valutazioni e dei giudizi su ciò che aiuta e ciò che non aiuta.

Come ce la possiamo cavare?

Alcuni studiosi (non sistemici, che io sappia) hanno cercato di fornire una sorta di mappa, di classificazione dei bisogni, tra i più noti vi è certamente Maslow, e la sua piramide: il pregio maggiore di quella schematizzazione consiste nella sua apparente semplicità e chiarezza, generalmente percepita come di rilevante aiuto nel cercare di dominare un territorio altrimenti selvaggio, intricato e incomprensibile.

In modo più o meno diretto, ma non meno rilevante, sono moltissimi gli studiosi che nel corso dei secoli ci hanno proposto teorie del bisogno, in fondo tutti quelli che si sono occupati del comportamento umano, poiché la teoria del bisogno è indispensabile per dare una risposta sensata a qualunque interrogativo circa l’umano agire: Freud, Piaget, Darwin, Leibniz sono i primi che mi vengono in mente, ma l’elenco è lunghissimo, e comprende anche studiosi contemporanei, tra tutti Humberto Maturana, cui la sistemica deve moltissimo.

Anche noi, come Maslow, stiamo usando una teoria dei bisogni, sin dall’inizio abbiamo messo a fondamento di tutto, sostanzialmente, la sopravvivenza del singolo e della specie: per noi sistemici, ciascuna forma del bisogno e del desiderio è una variante del bisogno fondamentale identificato nella sopravvivenza.

“Buongiorno Maria”

“Buongiorno Giovanni”

“Come sta?”

“Benino, raffreddoraccio di stagione, nulla di che… lei come sta?”

“Eh, raffreddata anch’io, mali di stagione…”

“Mi scuso per non averle risposto subito, quando mi ha chiamato al telefono ero in sessione… che cosa posso fare per lei?”

“Volevo chiederle se poteva darmi le chiavi di accesso alla piattaforma Joor…”

“Le chiavi le trova in una email archiviata nella cartella Joor dell’account Amministrazione… ma la piattaforma non è più accessibile da mesi…”

“Voglio soltanto scaricare i dati registrati, avranno pure tenuto gli archivi, così riusciamo a completare la documentazione…”

“Dovrebbero aver tenuto gli archivi, è che l’account è stato disattivato, e anche con le chiavi non si può più accedere. I dati erano già stati tutti scaricati, e li trova nella cartella Dati Joor 2019 dell’archivio che le ho inviato qualche mese fa”

“Ho capito, ma le chiavi di accesso dove le trovo, nell’archivio email c’è troppa roba e ci si perde…”  

Si possono intendere, individuare le connessioni tra le due narrazioni e la soddisfazione del bisogno fondamentale identificato nella sopravvivenza?

Si riesce a capire, ad avere un’idea del perché la narrazione di Giovanni non sembra essere efficace?

Con un po’ di immaginazione, anche senza disporre di altri dati e informazioni di contesto, possiamo collegare il comportamento dei due narratori alla ricerca della soddisfazione del bisogno di sopravvivenza.

E, ricordando il principio di similarità, la necessità geneticamente determinata di mantenere allineati ambienti reali e ambienti virtuali (vedi “sostanza della narrazione”, 30 gennaio 2019), riusciamo a cogliere che l’insistenza di Maria sulle chiavi di accesso può essere un effetto del suo modo di tenere allineato ciò che ha nel suo ambiente virtuale con quello che trova nel suo ambiente reale.

Necessità geneticamente determinata significa bisogno, naturalmente: il principio di similarità articola il fondamentale bisogno di sopravvivenza rispetto alla ovvia preferibilità che i nostri sistemi funzionino adeguatamente.

E con questo arriviamo ai bisogni sistemici, bisognerà averci a che fare.


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